benvenuti a tutti,
questo è un blog ideato per aiutare a capire queste malattie dell'anima onde evitare di giudicare senza conoscere.
Rispettando l'idea di tutti, e in particolar modo usando termini appropriati e richiesti dal senso di civiltà e intelligenza, invito tutti voi a dire la vostra rispettando comunque ogni persona e tutelando anche il rispetto di queste ragazze afflitte da tali malattie dell'anima.
buon proseguimento
emy

mercoledì 21 ottobre 2009

ANORESSIA E BULIMIA



ANORESSIA E BULIMIA: LE DUE MALEDIZIONI DELL’ANIMA



Le statistiche, ci informano che in Italia 3.000.000 di persone, soffrono di disturbi del comportamento alimentare, di cui il 90% dei casi si tratta di donne.
L’insorgenza di queste malattie, nelle donne avviene intorno ai 12 anni, mentre nei maschi avviene intorno ai 17 anni di età
A differenza delle donne che usano l’anoressia per mettere alla prova l’altro o per tenerlo a distanza come negazione della sessualità, i maschi usano l’anoressia come uno strumento per arrivare disinibiti al primo incontro con l’altro sesso. Dimagrendo e raggiungendo il proprio peso ideale confermano il proprio valore.
Purtroppo, però, questi mali dell’anima, non solo sono in continuo aumento nei maschi, ma anche nei bambini a partire dagli otto anni di età.
L’anoressia e la bulimia, ai nostri giorni, colpisce anche mamme over 40 e a volte addirittura over 50-60 anni.
Le statistiche, riportano tra le giovanissime una prevalenza dell’1% di casi di bulimia, esattamente il doppio delle anoressiche, anche se questi risultati sono influenzate dal fatto che alle bulimiche è più facile chiedere aiuto.
L’allarme di pediatri, mette in uno stato di preoccupazione in quanto denunciano un aumento consistente dell’anoressia nelle bambine a partire dai 7-8 anni di età. Il 60% delle ragazzine che frequentano le scuole medie desidererebbe essere molto più magra. Questa fissazione è già nelle menti delle bambine che frequentano anche le scuole elementari. Le conseguenze di tali disturbi sono gravi e molto preoccupanti:
- Squilibri psicologici a carico della malata e della sua famiglia;
- Seri problemi fisici che mettono in pericolo lo sviluppo fisiche di queste bambine, soprattutto per quanto riguarda lo sviluppo nell’altezza e lo sviluppo adolescenziale.
Si stanno sviluppando molti tentativi per risolvere tale problema. Si parla di una disfunzionalità di una piccola area del cervello, chiamata “BED NUCLEO DELLA STRIA TERMINALE”, le cui funzioni sono al momento sconosciute. Di questa area si afferma che sia la parte più sensibile all’azione anoressizzante del fattore di rilascio corticotropo, un neuroormone responsabile dello stress nell’uomo. Gli studi affermano che somministrando una molecola nell’area suddetta, si riesca a bloccare questo rilascio corticotropo che induce all’anoressia nervosa, e che particolari sostanze di questa molecola possano diventare dei farmaci innovati per la cura dell’anoressia.
Lasciando agli studiosi e ai ricercatori il compito di scoprire se l’anoressia sia o meno dovuta a qualche disfunzionalità cerebrale, parliamo un po’ di cosa sia realmente a livello psicologico questa malattia e quale sia la sua causa.
Per far ciò ci avvalleremo degli studi passati del medico Hilde Bruch che per primo si interessò seriamente a queste due malattie e in particolare all’anoressia, fino ad arrivare alle teorie che fino ad oggi si sono ideate a proposito di tale condizione delle ragazze.
Per conoscere una malattia ci servirà anche sapere la sua storia e le varie teorie che sono nate dai tempi in cui nacque fino ai nostri giorni.

1. NOZIONI STORICHE DELL’ANORESSIA

L’ Anoressia nervosa è conosciuta sin dai tempi dell’antichità, infatti la cosiddetta pratica del digiuno o quella temporale o continua nei confronti di alcuni cibi, è nata con le società primitive e si è mantenuta nelle diverse culture e civiltà, da quella babilonese a quella cristiana, con valori e significati diversi, cioè rituale, come in alcune tribù della Nuova Guinea, o mistico-religioso, come nell’Antico Egitto e nella cristianità medievale.
Nei secoli XV e XVI, prima che fosse descritta l’anoressia mentale, le cosiddette “ fanciulle - miracolo ” attirarono molta curiosità e dettero luogo a dotte discussioni poiché, a quanto si sosteneva, restavano in vita senza cibo e bevande. Chi veniva scoperta mentre si cibava di nascosto, veniva giudicata con severità tale da portarla alla pena capitale.
In dei documenti di KEYS si parla di come la fame domini tutto l’essere, inducendo ad ogni sorta di bassezza.
Due fasi si distinguono durante il corso d’inanizione:
Una reazione immediata alla privazione del cibo;
e un quadro finale di estremo dimagrimento.
Nel primo stadio si ha il pensiero oscillante del cibo, con perdita del desiderio sessuale, crescente rozzezza di tutte le risposte emotive e sempre più marcato egoismo con perdita completa d’ogni riguardo umano. Lo stato finale è caratterizzato da inattività, apatia, un ritrarsi dalla vita e un’accresciuta irritabilità per qualsiasi fattore di disturbo.
Durante la ripresa, invece, il desiderio di cibo sembra insaziabile, l’unica preoccupazione è il cibo e il timore di non ottenerne abbastanza persiste anche dopo che si è avuto un recupero fisiologico, questo è soprattutto ciò che accade nell’anoressia, quando la paziente ha la volontà vera di uscire fuori il tunnel che si è creato. La paura di non ottenere abbastanza cibo è un pensiero fisso e ostinato, anche se una volta messo davanti il cibo si ha ancora un minimo di freno nel mangiarlo.
Il criterio generalmente accettato per la diagnosi dell’anoressia nervosa pubblicato da J. P. FEIGHNER e dai suoi collaboratori nel 1972 è la seguente:
1. Insorgenza anteriore all’età di 25 anni;
2. Mancanza di appetito accompagnata da una perdita di almeno il 25% del peso corporeo normale;
3. Atteggiamento distorto e avverso nei confronti del cibo, del mangiare o del peso, che non tiene conto né della fame, né dei rimproveri, degli incoraggiamenti o delle minacce, per esempio:
• Rifiuto di riconoscersi ammalata di aver bisogno di mangiare;
• Evidente soddisfazione nel perdere peso con la chiara dimostrazione che il rifiuto del cibo procura piacere;
• Desiderio di un aspetto estremamente esile del proprio corpo, con l’evidente convinzione della gratificazione causata dal raggiungimento e dal mantenimento di questa condizione;
• Anomala manipolazione e incetta di cibo;

4. Nessuna malattia che possa essere la causa dell’anoressia e della perdita del peso;
5. Nessun altro disturbo psichiatrico, in particolare disturbi di ordine affettivo, schizofrenia, disturbi ossessivi compulsivi e nevrosi fobica;
6. Almeno due delle manifestazioni seguenti:
 Amenorrea
 Lanugo ( capelli fini e morbidi);
 Bradicardia ( battito cardiaco rallentato, 60 pulsazioni o meno)
 Periodi di iperattività;
 Episodi di bulimia;
 Vomito ( può essere auto provocato)

L’anoressia mentale, come si legge in “Patologia del comportamento alimentare” di HILDE BRUCH, medico e psichiatra, è diventata un’entità clinica grazie alle segnalazioni di GULL in Inghilterra e LASEGUE in Francia (Gull 1874; Lasègue 1873).
A RICHARD MORTON, la cui “Tisiologia e trattato sulla consunzione”, il cui titolo originale è “ Phthisiologia: or a treatis of consumption” e che fu pubblicato a Londra nel 1689, si attribuisce il merito di aver riportato i primi casi di cui si trova traccia nella letteratura medica, chiamando la malattia “ una consunzione nervosa”.
La descrizione della sindrome è sintetica ma loquace:
“ Atrophia, seu phthisis nervosa, est consumptio corporis obseque ulla insigni febre, vel tussi, vel dyspnoea: unde insequitur totius corporis languor & marcor in dies increscens”,
che tradotta all’incirca è:
“Deperimento, o piuttosto tisi nervosa consunzione del corpo che causa una notevole febbre o tosse o difficoltà di respiro: non solo con l’espulsione del desiderio e della digestione eam comitante: da cui subito dopo in tutto il corpo, debolezza e fiacchezza nei giorni aumentano.”.
Qui vi sono descritte le condizioni di una ragazza di 20 anni, da lui curata nel 1668.
La malattia della ragazza, si era formata due anni prima quando nel mese di luglio ella ebbe una totale perdita del ciclo mestruale. Da quel momento il suo appetito cominciò a diminuire, e la sua digestione divenne via via più difficile. Il medico descrive dettagliatamente la condizione fisica della ragazza, con queste parole:

‘la sua carne divenne sempre più flaccida e cadente, e l’aspetto sempre più pallido[…] aveva l’abitudine di studiare durante la notte, era continuamente china sui libri, e si esponeva giorno e notte alle ingiurie dell’aria. Non ricordo di aver mai visto in tutta la mia pratica medica una persona che si tenesse in vita così devastata dal più alto grado di consunzione (era pelle e ossa), ma non c’era febbre, anzi tutto il corpo era freddo. Semplicemente il suo appetito era diminuito, la digestione era diventata difficile, soffriva di ricorrenti crisi di svenimento ‘.

Morton prosegue il suo racconto e afferma che la ragazza rifiutava le medicine e che tre mesi più tardi peggiorò e morì.
Questo medico del XVII secolo è stato il primo a descrivere concretamente molti dei sintomi tipici dell’anoressia nervosa e a distinguerla dalla vaga diagnosi di morte per consunzione e dalla sintomatologia specifica della tubercolosi.
In tutta la letteratura medica del secolo XVIII è praticamente impossibile distinguere l’anoressia nervosa da altre malattie “nervose”.
Il primo tentativo quindi di diagnosi differenziata, era diretto a distinguere l’anoressia mentale dalla tubercolosi.
Gull suggerisce che la malattia possa risultare da “un morboso stato mentale” nelle giovani in un età in cui i disturbi emotivi possono spesso ripercuotersi sull’appetito.
Fu GULL a coniare il termine “ ANOREXIA NERVOSA”, e così è ancora denominata nei Paesi di lingua inglese, in Germania e Russia;
LASEGUE’ la chiamò dapprima “ANOREXIA HISTERIQUE”, successivamente sostituito da “ANOREXIA MENTALE” che è la denominazione in uso in Francia e Italia.
Nel 1873, Lasègue descrisse otto casi di ciò che chiamava anoressia isterica, con grave emaciazione e rifiuto del cibo senza che si arrivasse al digiuno completo.
La perdita dell’appetito veniva in diversi modi nelle pazienti: in alcune con ripugnanza verso il cibo, in altre con avversione solo per alcuni cibi.
Il quadro tipico si osservava in ragazze di 15\20 anni e la sua comparsa era in rapporto ad un qualche turbamento emotivo, che le pazienti nascondevano.
Laséguè, inoltre, osserva come i genitori di queste ragazze si limitassero solo a implorare o minacciare le figlie, spesso mescolando confusamente preghiere e minacce finendo così per aggravare la malattia.
La prima descrizione di Gull è datata 1874, ma fin dal 1868 Gull usava il termine “APEPSIA ISTERICA” per descrivere l’afflizione della malattia. Una relazione aggiuntiva fu pubblicata nel 1888.
Secondo Gull, l’anoressia mentale, osservata in giovani donne, aveva come sintomi principali emaciazione accompagnata da AMENORREA,
STITICHEZZA,
PERDITA DELL’APPETITO,
POLSO E RESPIRAZIONE LENTA, in assenza di segni di patologia somatica.
In più le attribuisce anche, un’instancabile attività.
Sempre facendo riferimento allo studio di HILDE BRUCH, leggiamo che, fino a quell’epoca si era ritenuto che la causa della suddetta malattia dipendeva da fattori psicologici.
Sostanzialmente, riposano tutti sull’idea di FREUD, secondo la quale, la compromissione dell’istinto nutritivo è in rapporto con l’incapacità dell’organismo di venire a capo dell’eccitamento sessuale.
Freud osserva che l’elemento sessuale è quella che più probabilmente provoca traumi.
Il rifiuto del cibo nella paziente anoressica, è la proiezione del rifiuto di una fantasia di fecondazione orale con il padre. Orge alimentari , costipazione e amenorrea, simboleggiano la fecondazione orale, la presenza di un bambino nell’addome e l’amenorrea dovuta alla gravidanza.
nel 1914, un patologo, SIMMONDS, segnalò il nesso fra processi distruttivi a carico dell’ipofisi anteriore ( che comprende 5 tipi di cellule secretorie, ciascuno delle quali produce uno o più ormoni e sono: l’ormone della crescita; Ormone adrenocorticotropo ACTH il quale controlla il cortisolo, l’aldosterone, il testosterone e gli estrogeni; la prolattina; l’Ormone tireostimolante TSH; l’ormone follicolostimolante FSH e luteinizzante LH. I disturbi dell’ipofisi anteriori che impediscono la liberazione della tireotropina, provocano manifestazioni simili a quelle delle malattie tiroidee. Un eccesso di questi ormoni provoca instabilità emotiva, calo di peso e intolleranza al caldo) e cachessia (forte dimagrimento associato a progressiva riduzione del metabolismo e della funzionalità degli organi).
Con Simmonds, qualsiasi riferimento a deperimento veniva attribuito a un qualche disturbo endocrino e se ne tentò la cura mediante la somministrazione di sostanze endocrine e perfino con l’impianto di ipofisi per tutta la durata dei due o tre decenni che ne seguirono.
WALLER, KAUFMAN E DEUTSH DICEVANO CHE:
“ I fattori psicologici hanno un’espressione simbolica di fantasie di gravidanza con interessamento del tubo digerente.
Il desiderio di essere incinta attraverso la bocca dà luogo talvolta a voracità compulsiva e talaltra a senso di colpa e conseguente rifiuto del cibo.
La stitichezza simbolizza il figlio nell’addome.
L’amenorrea, è la ripercursione psicologica diretta delle fantasie di gravidanza.”
Gli autori notarono che lo scompiglio della funzione alimentare è legato a conflitti della famiglia e che la sindrome viene scatenata dalla necessità di aggiustamento alle esigenze della vita adulta, situazione, questa, in cui la paziente anoressica regredisce a livello infantile.
WALLER, KAUFMAN E DEUTSH si sforzarono sempre più a precisare con maggiore specificità, la natura di questo conflitto, e ci andarono molto vicino, allontanando così l’idea fissa di collegare la malattia a una volontà d’incesto che, invece, era e poteva essere solo di natura del rapporto genitore-figlio, fin dal suo inizio.
Solo negli anni Trenta, s’incominciò a fare seri tentativi di differenziare la sindrome psicologica dell’anoressia mentale dal cosiddetto “ Morbo di Simmonds”: si riconosceva essere l’anoressia mentale provocata da fattori psicologici, ma si sostenne che la situazione delle pazienti fosse fondamentalmente identica alle pazienti affette da “ conflitti larvati”.
Attualmente si tende a considerare tutti i sintomi funzionali della malattia secondari all’inanizione.



2. CAPIRE L’ANORESSIA CON GLI INSEGNAMENTI DI HILDE BRUCH




Ho trovato molto interessante e di utile conoscenza gli studi affrontati, negli anni Sessanta, dal medico Hilde Bruch, che si interessò molto a tale malattia e studiò in particolare modo su ogni fronte le caratteristiche e i sintomi di cui è formata l’anoressia.
Queste nozioni, rilevate dal suo libro “La Gabbia d’Oro”, sono molto interessanti, sia per capire la malattia sia per fare un riscontro sull’evoluzioni che hanno subito le teorie su questa malattia, sin ai nostri giorni.
Dobbiamo capire per prima cosa che la malattia colpisce in maggioranza ragazze sane, vivaci, amate, intelligenti, elogiate e capaci di eccellere in ogni campo.
Molto spesso, le preoccupazioni per il peso e la dieta, avvengono in circostanze in cui si devono fronteggiare nuove situazioni, quali un campeggio, una nuova scuola, una nuova situazione familiare, un trasferimento improvviso ecc.. tutti questi cambiamenti possono incutere un certo timore in una ragazza adolescente. Essa stessa ha paura di non essere in grado di fare nuove amicizie di non essere capace di affermare la propria personalità, di non essere abbastanza sportiva, e si preoccupa perché è un po’ in sovrappeso.
Un sovrappeso, la maggior parte dei casi, inesistente.
Il primo calo ponderale, può essere fortuito e dovuto a molti fattori: l’infelicità della nuova situazione, una piccola depressione, il non accettare nuove cose e rivoluzioni nella sua vita che era già perfetta prima di tutti quei cambiamenti.
Dimagrite, può succedere che ricevano anche complimenti e che siano ammirate ed elogiate per il loro nuovo stato fisico e che, di conseguenza, possano inorgoglirsi al punto tale di continuare a dimagrire per ricevere maggior rispetto.
Molte ragazze sono travolte da un gran numero di potenziali aperture a loro disposizione; troppe sono le scelte possibili, che alla fine si ha paura di fare quella sbagliata.
Nel corso dell’adolescenza il corpo si trasforma, le rotondità si accentuano e anche il proprio viso matura. Non tutte accettano questo cambiamento. Sanno che nell’adolescenza si deve essere in grado di ponderare delle scelte, di affrontare da sole certe situazioni, di doversi in minima parte distaccare dal cordone ombelicale che le rassicurava di essere sempre protette dalla famiglia. Coloro che non si sentono pronte per un tale cambiamento seppur in precedenza desiderato, fuggono verso le limitazioni alimentari e disfano gli aspetti somatici dell’adolescenza stessa interrompendo così un evoluzione che le turba, ma in cui si sentono incapaci di operare un vero cambiamento. Così il proprio corpo è l’unico campo in cui possono manifestare la propria autorità e il proprio potere decisionale.
Di conseguenza, si deduce che tutta la malattia è un tentativo di arrestare il tempo per non crescere, per tornare all’infanzia nelle dimensioni e nel comportamento.
Molte di queste ragazze erano, prima del sorgere della malattia, sportive e avevano partecipato ad attività di gruppo ma ora la loro attività fisica diviene un esercizio solitario, il cui unico scopo è di bruciare calorie e di mostrare perseveranza.
Molto spesso sono state ragazze sempre elogiate per la loro capacità di essere dedite al lavoro della scuola e per aver sempre aiutato a scuola e nelle attività fisiche, ragazze meno fortunate di loro.
Durante tutto l’iter della malattia, e almeno nel primo periodo dell’anoressia, si arriva successivamente all’inanizione completa.
I sintomi di tale inanizione sono:
 Scissione dell’Io;
 Spersonalizzazione;
 Gravi difetti dell’Io.
Ma come mai famiglie affermate e bene integrate non riescono a trasmettere un senso adeguato di fiducia e di valutazione di sé a queste figlie che crescono confuse nei loro concetti circa l’organismo e le sue funzioni e carenti di un senso di identità, indipendenza e governo di sé?
Queste ragazze si comportano come se non fossero esse stesse a guidare le proprie azioni, come se non avessero diritti autonomi, come se tutto ciò non le appartenesse affatto.
Percepiscono o interpretano le loro sensazioni somatiche in modo erroneo e soffrono per la loro sensazione di non essere capaci, di non avere alcun controllo sulla propria vita e di non essere padroni dei loro desideri e dei rapporti con gli altri.
Tutto questo sono i sintomi dell’Anoressia Mentale e possono essere legati, come afferma HILDE BRUNCH, a esperienza dei loro primi anni di vita.
Il non sapersi cibare e il loro abuso della funzione alimentare, vuol dire che la loro percezione della fame, si è sviluppata in modo improprio.
Spesso sembra essere l’allattamento a essere un’esperienza mista di trauma, confusione, rigetto e frustrazione, precorritrice di successivi conflitti.
Il cibo rappresenta, sin dalla nascita dell’uomo, il simbolo e il sostituto dell’affetto.
La prima percezione del bambino è la fame, che si placa con l’assunzione del cibo seguito dal soddisfacente senso di sazietà che lo porta a sentirsi più sicuro, amato e protetto.
Il pianto è il suo strumento per segnalare i suoi malesseri, i desideri e le necessità.
Il modo in cui si risponde ai suoi richiami è il fattore decisivo nel renderlo consapevole dei propri bisogni.
Il bambino è capace di comprendere certe cose in determinati momenti, perciò anche il comportamento alimentare, ha un processo di apprendimento che inizia dalla nascita.
HILDE BRUCH ci informa che se ai bisogni e impulsi del bambino, sono mancati conferma e rafforzamento o se le risposte sono state contraddittorie e imprecise, il bimbo crescerà pieno di perplessità ogni qualvolta tenti di distinguere i suoi disturbi nel campo biologico delle esperienze emotive e interpersonali e tenderà a interpretare erroneamente le deformazioni del suo concetto del proprio corpo come effetto di fattori esterni. Sarà così un individuo privo del senso del suo essere, una creatura a sé, il cui Io avrà confini indistinti e che si sentirà impotente in balia a forze esterne.
Se la risposta materna è sempre incongrua, il bambino quando sarà più grande, non saprà distinguere tra l’aver fame o l’esser sazio, tra il bisogno del mangiare e qualche altro stato di disagio o di tensione.
Di conseguenza le malattie che potranno verificarsi con un tale disturbo alimentare sono:
L’OBESITA’ e L’ANORESSIA.
L’obeso avrà timore dell’inanizione, mentre l’anoressico emaciato sarà insensibile ai richiami della fame.
Fonte di problema per il piccolo è anche una madre troppo preoccupata solo di se stessa; qualunque cosa faccia il figlio è sempre interpretato in riferimento alla madre; così, in questa circostanza, il rifiuto di mangiare equivale a un atteggiamento critico e ostile nei confronti della madre, laddove mangiando il bambino esprimerebbe felicità e affetto.
La mancanza di risposte adeguate alle sue necessità, priva il piccolo delle basi essenziali su cui edificare la propria identità fisica, la consapevolezza percettiva e concettuale delle proprie funzioni.
Il neonato sente le proprie emozioni adoperandole come segnale utile per il suo adattamento alla realtà. Per il bambino le emozioni sono reazioni globali che coinvolgono tempestosamente tutti gli apparati organici o lo accecano al punto dal non farlo recedere neanche di fronte un pericolo.
Le emozioni sono presenti in tutti, ma soltanto per alcuni finiscono col divenire cause di malattia.
Si ammalano solo chi usa la regressione come mezzo di difesa per ripararsi dalle angosce nevrotiche.
Una volta avvenuta la regressione, avviene una ri-somatizzazione delle emozioni.
Le tensioni emotive che si somatizzano, oltre che nuocere alla psiche con ansia, insonnia e depressione, possono alterare anche qualche organo del corpo, prima a livello funzionale e poi nella struttura anatomica.
La funzione più colpita è quella digerente.
Se questa condizione di allarme diventa continua, questo disturbo dell’appetito e della digestione può trasformarsi in cronicità.
Unico punto fondamentale per la prevenzione è quello di mangiare, allo stesso orario, per un’igiene mentale.
Asperger, psichiatra austriaco, parla di madri incapaci di creare un’atmosfera di sufficiente calore e sicurezza, essendo loro stesse nevrotiche, al momento anche dell’allattamento.
Con questo pensiero non afferma però che la malattia sia di origine psicologica, bensì che questa manifestazione nevrotica faccia parte di una psicopatologia costituzionale trasmessa da madre a figlio.
Nell’opinione di GROEN e FELDMAN-TOLEDANO questi bambini soffrirebbero di una grave privazione di affetto; quelli dei loro genitori, sarebbero matrimoni senz’amore per entrambi e questi genitori pretenderebbero dai figli prestazioni scolastiche e comportamento esemplare.
I disturbi del comportamento che prendono vita oltre il sesto mese), riflettono una situazione conflittuale nei riguardi della figura materna, percepita come esterna e diversa dal sé. Questo conflitto cibo-madre, fa insorgere nella madre la convinzione che ogni rifiuto al cibo del bambino sia un rifiuto a lei personalmente, alle sue cure e al suo affetto, così questa convinzione, fa nascere nella madre molta suscettibilità nella trattazione del nutrimento e la spinge a combattimenti nella somministrazione del cibo.
Questo rifiuto ostinato del bimbo è in genere transitorio e spesso vi è una guarigione spontanea.
Tuttavia, un eccessivo turbamento del processo alimentare nelle fasi precoci potrà lasciare residui che aumenteranno o complicheranno i disturbi delle fasi successive.
I disturbi alimentari infantili preparano il terreno per affezioni neurotiche dello stomaco e dell’appetito nell’età adulta.
L’analisi della letteratura sull’anoressia infantile collega il fenomeno anoressico direttamente psicogeno con due ordini di fattori oggettivi:
1. agli eventi traumatici, tra cui il divezzamento, la nascita di un fratello, l’istituzionalizzazione;
2. e a particolari modalità di allevamento dell’infante, dovute alla personalità della madre, ansiosa, rigida, perfezionista.
Abbiamo così delle motivazioni macro-traumatiche.
La percezione del proprio corpo da parte del bambino si modifica e si estende gradatamente nel corso della crescita, in modo da conformarsi alla struttura dell’organismo a mano a mano che questa si costituisce. Nello stesso tempo avvengono dei cambiamenti nella sua capacità di formulare concetti e sperimentare e interpretando la realtà. Il bambino assorbe gli atteggiamenti altrui verso il suo corpo e le parti di questo e può quindi elaborare un concetto del suo corpo come piacevole e soddisfacente, oppure può arrivare a vedere il suo corpo intero e le sue parti sgradevoli, sporche vergognose o disgustose.
In queste famiglie la crescita e lo sviluppo dei figli sono concepiti come realizzazioni dei genitori, non dei figli.
Le anoressiche crescono in famiglie affettuose e animate di buone intenzioni, ma sono anche le figlie che hanno avuto maggior controllo e sono state quelle maggiormente apprezzate, proprio per questo motivo, si sono sentite in obbligo di dimostrarsi pari alle aspettative dei genitori e non hanno potuto
Sviluppare una vera e propria autonomia e iniziativa, perché qualsiasi cosa era fatta per i genitori e non per loro stesse.
Nascondono le loro incapacità di prendere decisioni con una maschera irreale di sicurezza e caparbietà.
Non sanno quale valore hanno e sanno solo l’immagine che altri si sono fatte di loro.
Nella loro infanzia hanno sempre cercato di indovinare il pensiero dei loro genitori e hanno sempre fatto ciò che gli altri si aspettavano da loro.
Non avendo una propria autonomia non sono mai state in grado di prendere una decisone importante, non sono mai state capaci ad arrivare a un proprio giudizio, poiché hanno sempre seguito le volontà e i giudizi di altri, di qualcuno che più tardi le ha imprigionate nella rete delle convinzioni e dei valori precedenti.
Non avendo una propria autonomia non sono mai state in grado di prendere una decisone importante, non sono mai state capaci ad arrivare a un proprio giudizio, poiché hanno sempre seguito le volontà e i giudizi di altri, di qualcuno che più tardi le ha imprigionate nella rete delle convinzioni e dei valori precedenti.
Leggendo “PSICOLOGIA DELL’INCONSCIO” di Carl Gustav Jung, si ci rende conto che il problema cruciale della malattia sono in realtà le proprie turbe interiori, cioè:
- l’INSICUREZZA;
- LE FOBIE DI NON ESSERE CAPACE
- LA MANCANZA DI INDIPNDENZA E AUTONOMIA;
- LA NON AFFERMAZIONE DEL PROPRIO IO.
Questi disagi nascono in sé già nell’infanzia che sfociano conseguentemente quando l’individuo deve affrontare i cambiamenti che l’adolescenza richiede per natura.
In quel momento si ha paura di fare scelte sbagliate, di essere più autonome e la malattia altro non è che un tentativo per fare cambiare ogni cosa intorno a sé, un tentativo di ribellione visibilmente mal riuscito.
L’anoressica vuole l’indipendenza, ma ne ha paura perché mai nessuno in precedenza le ha insegnato come affrontarla;
desidera la sua affermazione, ma è restia nell’andarle incontro perché non è abituata a decidere da sola per se stessa, non è abituata a dar vita ai suoi desideri veri i quali li ha nascosti in un angolo più profondo del suo inconscio per paura di farli uscire fuori, perché ha sempre creduto e pensato che fosse giusto che altri le dicessero cosa fare perché sapevano cosa fosse meglio per lei.
L’anoressica vuole sempre dimostrare di essere sempre capace in tutte le cose solo perché ha paura di essere adolescente e di non poter far più parte integralmente di quel posto in cui si sentiva protetta e libera da ogni responsabilità di scelta.
La realtà è che non sa gestire la propria crescita interiore, in quanto troppo di tanto è stato soppresso e non considerato, cose che in quel momento avrebbero potuto esserle da aiuto nel momento di affrontare i cambiamenti richiesti dall’adolescenza con maggiore fiducia e sicurezza.
Un altro problema che può essere un fattore di causa scatenante della malattia è l’eccessiva moralità con la quale la ragazza può essere cresciuta. L’eccesso della morale ha imprigionato e rimosso ogni suo istinto ripudiandolo e considerandolo non idoneo al suo Io morale. Questo eccesso, limita la manifestazione della personalità del proprio Io, nascondendolo o riducendolo al minimo. Ecco perché non avendo una buona struttura dell’Io personale, con forti fondamenta si ci sente tanto incapaci e insicuri di far fronte alla adolescenza, tappa fondamentale della propria vita, ritenendo il luogo dell’adolescente un luogo indistinto e perfettamente sconosciuto, in quanto non preparate a tanti cambiamenti.
Nel periodo che precede la malattia, le ragazze tendono a isolarsi socialmente.
Non riescono a sentirsi individui unitari capaci di badare a se stesse e di vivere la propria vita. Quando insorge la malattia, hanno impressione che a cagionarla sia stata una forza misteriosa che governa le proprie volontà a cui è difficile ribellarsi.
Altre ragazze invece considerano il corpo e se stesse entità separate cui sta alla mente mantenere sotto controllo quel corpo indisciplinato e disprezzato.
La vera prevenzione sta solo nell’essere in grado di accorgersi in tempo delle turbe interiori di queste bambine che soffrono in totale silenzio e solitudine.
Come si è già affermato, l’anoressia subentra più per paura di diventare adolescente che per altri motivi, inclusa la paura di diventare adulti.

L’estrema magrezza induce a far capire che nel loro modo di pensare danno il compito al loro corpo di dimostrare il proprio malessere tentando di risolvere i propri problemi cambiando il proprio corpo tramite l’inedia e l’attività fisica estenuante. Danno la colpa a loro stesse dei loro difetti immaginari o in parte veri e si autopuniscono privandosi di ogni cosa, incluso il cibo, come se non lo meritassero.
Il fatto di inoltrare la propria malattia è per il motivo che con tale malattia si sentono speciali, meritevoli ecc.
Tramite il digiuno forzato si puniscono e ciò le fa sentire come se il loro peccato l’abbiano estirpato e con il loro nuovo corpo possono meritarsi qualunque cosa e possono avere il permesso di sentirsi speciali.
A questo punto della malattia sentono di non poter comunicare più con nessuno in quanto nessuno le può capire.
Sintomo-bersaglio dell’anoressia mentale è la mancata ingestione di una quantità sufficiente del cibo.
Di solito, le anoressiche sono restie nell’affrontare quest’argomento apertamente, è come se li dia fastidio il solo materializzare l’idea del cibo parlandone.
Pur girando costantemente intorno al cibo col pensiero, la maggior parte delle ragazze riesce a non mangiare grazie a un rigido dominio di sé, sebbene vivano nel terrore nel non saperlo mantenere. Altre dopo un poco alternano periodi di completo digiuno a periodi di abbuffate di cibo.

Molte s’interessano alla cucina prodigandosi nella preparazione di manicaretti e ricette ricercate con ogni mezzo. Questo interessamento, è dovuto dalla volontà della figlia anoressica di sostituirsi alla madre, costringendo a mangiare il nucleo familiare tutto ciò che lei stessa ha preparato ed omettendo il poco cibo che lei mangia.
Insistono col dire di non vedere a loro magrezza, poi però si guardano allo specchio con una tale soddisfazione e un tale orgoglio quando davanti allo specchio, vedendosi da ogni angolatura scrutano ogni osso che sporge.
Hilde Brunch ci informa che: tanto più esagerano nelle loro stime, tanto più sono restie alla terapia.
Quanto maggiore è il bisogno di auto-ingannarsi, tanto meno l’anoressica è disposta a riesaminare i valori e i concetti di cui si serve.
Se non interviene qualche cosa di significativo, se nessuno aiuta le ammalate a vedere il mondo in termini più realistici, l’atteggiamento anoressico può continuare per anni e portare anche alla morte, anche se più spesso conduca a un penoso isolamento e all’invalidità cronica.
Ecco, tornata l’importanza dell’amore.
Si parla di questa malattia anche con la nozione di “suicidio a piccole dosi”, ma in realtà, per quanto molte ragazze possano morire della loro malattia, non è il desiderio di morte che le spinge a farsi tutto questo male, ma il contrario, è la necessità di crearsi una loro identità per poter dominare la loro vita.
Mara Selvini Palazzoni, portò nel nostro Paese, nel 1967, la terapia della famiglia nell’ambito della prospettiva sistemico-razionale, presso il Centro per lo Studio della Famiglia a Milano.
Per lei, il fenomeno chiave della malattia è il bisogno di esercitare un controllo sul corpo che viene sentito come minaccioso e indistruttibile. Non c’è vera mancanza di appetito e la fame persiste col digiuno nel paziente fino allo stadio terminale. Questi pazienti hanno un comportamento anoressico in quanto si comportano come se non avessero appetito.
In realtà il cibo ha una grande importanza per loro. Infatti, si nota che se il discorso cade casualmente sul fattore cibo, si eccitano, a patto che non si parli del cibo loro, tant’è che il loro passatempo preferito è cucinar per gli altri.
Un concetto realistico dell’immagine corporea è premessa indispensabile alla guarigione dell’anoressia mentale.
Molte ragazze aumentano di peso , ma una guarigione sana, effettiva e duratura non può essere raggiunta se non si corregge questa percezione fallace dell’immagine corporea.

L’anoressia mentale, per il solo fatto di esistere, dimostra come l’odio e il disprezzo di sé non siano legati all’eccedenza ponderale, ma a una qualche profonda insoddisfazione interiore.
Tutto quello cui avevano mirato era di essere meno scontenti di sé e poiché avevano creduto che la causa della loro disperazione fosse l’ “esser troppo grassa”, erano fermamente decisi a correggere questo stato di cose.
I malati di anoressia mentale esprimono la mancata identificazione col loro corpo esplicitamente.
Più volte si ci è chiesto cosa sentono realmente le ragazze anoressiche, che cosa pensano veramente loro delle loro condizioni fisiche, se realmente non hanno fame e come mai si applicano a farsi tanto male.
Le anoressiche godono del loro senso di fame,. Avere lo stomaco vuoto e la pancia perfettamente piatta, le dà una sensazione di sicurezza, e se hanno fame si sentono più snelle e sottili.
Loro non hanno la mancanza di appetito, benché la sentano, si rifiutano a essa, ma hanno un timore tremendo di ingrassare, di prendere anche pochi etti. Sono come bloccate nelle reti che la loro mente corrotta dall’anoressia ha creato e idealizzato per il loro Io interiore.
Per loro non vi è altro d’importante che resistere alla fame e di vedersi snelle e ultrasottili fuori, delle conseguenze che dà questo supplizio non gliene importa nulla.
Loro neanche vogliono sapere le conseguenze, non le vedono, anche se a occhi estranei sono evidenti, non ci fanno caso, per loro basta che il loro corpo sia snello e tutto va bene, si sentono in forma e ottimiste. Ciò che succede dentro a quell’involucro, non sono affari loro.
In alcune, però, la sensazione di fame diventa insostenibile e non più controllabile, così si abbandonano in vere abbuffate alimentari per poi farsi prendere dai sensi di colpa e vomitare.
Quando non c’è la possibilità di vomitare, o perché si è fuori con parenti o amici oppure perché si è a casa altrui, ritornano alle abitudini di digiuno.
Il rimpinzarsi di cibo è una compulsione terrificante cui è difficile sfuggire.
Il tempo per loro risulta apparentemente accelerato, ma in realtà hanno la sensazione come se le giornate siano interminabili.
La loro estrema magrezza le fa convincere come se avessero trovato la soluzione ai loro problemi, anche se in fondo sanno che vogliono aiuto e qualcuno che le supporta.
Pensano che tramite la loro eccessiva magrezza possano ottenere il rispetto e la considerazione che le sono sempre mancate durante la loro vita.
L’anoressica vuole vivere in un mondo a parte in cui a nessuno è dato il consenso di poter entrare proprio perché vuole una sua identità, vuole che ogni cosa che la circondi faccia parte solo dei suoi mancati desideri, ecco perché non vuole desiderare, perché ha paura che i suoi desideri possano essere condizionati dal pensiero che ha in rapporto con l’altro. Rifiuta di essere l’oggetto del desiderio dell’altro, ne rifiutano le attenzioni, il suo cibo, la sua vita.
Nell’anoressia esiste un desiderio di non avere desideri.
Con la sua anoressia il soggetto, lavora per tenere lontano da sé la madre ragno che tenta di irretirlo.
La madre ragno, o in alcuni casi, aggiungo io, anche il padre ragno è la causa del soffocamento di una propria identità.
L’anoressia si rifiuta di far godere l’altro, cioè non cede alle richieste del proprio corpo.
Premettendo che l’anoressia è il contraltare della bulimia, si capisce perfettamente che l’altro passo di questa malattia è proprio lo sfociare di una seconda presenza figlia della precedente: la cosiddetta Bulimia Nervosa. Quest’ultima porta a un senso ancora più profondo di amore e odio nei confronti del cibo. La bulimia è la perversione del cibo seguito dai sensi di colpa che precedono il vomito autoindotto. In questa fase, la ragazza non avendo una buona educazione alimentare si abbandona agli impulsi compulsivi che sente alla vista del solo cibo e in determinati momenti e situazioni della loro quotidianità, come in seguito si andrà a leggere e ad argomentare.
L’anoressica-bulimica alterna giorni di completo digiuno a giorni di orge alimentari senza fermarsi infliggendosi tali impulsi anche tre o quattro volte al giorni.
La Selvini osservando i diversi modi di pensare fra le pazienti dal comportamento divergente, ha notato che vi sono maggiori segni di pensiero disorganizzato nelle pazienti che si abbandonavano alle abbuffate per poi vomitare o che avevano il timore di perdere il controllo di sé. In questo tipo di pazienti, pur sembrando una coincidenza, si è scontrato un maggior numero di pazienti che si sottoponevano alla terapia e che la proseguivano.
Le famiglie di queste ragazze sembrano essere molto più preoccupate per questo assurdo comportamento di abbuffate e di vomito che per la rinuncia del cibo in se stesso.
Anoressia e bulimia sono, si può dire, collegate tra di loro. L’una precede l’altra e l’una entra in scena dopo l’altra.
Coloro che si abbandonano a vere orge alimentari, hanno il comune pensiero che il cibo ingerito con voracità non deve essere digerito e risulta nocivo per il corpo per questo motivo và espulso. Il vomito diventa un rituale con cui le ragazze danno forma usando vari metodi di applicazione.
Espellendo il cibo, e avendo sempre fame si dedicano con profonda dedizione alle loro orge alimentari occupando tutto il tempo della giornata con questo rito di tortura.
Se le cose vanno bene e non sono state traumatizzate o innervosite per qualche episodio particolare avvenuto durante la giornata, questo rito lo affrontano solo una volta nella giornata; se al contrario, le cose non vanno per il verso giusto, si dedicano più volte al giorno alle loro orge come per sfogare la loro frustrazione.
La paziente cronica se non ha potuto espellere il cibo nell’immediato, tenderà anche dopo ore a rigettare ciò che ormai ha già lasciato lo stomaco.
Dopo che si sono svuotate, si sentono pure e libere da ogni senso di sporco o di colpa.
L’ansia per il destino del cibo può dar vita ad un’eccessiva attività fisica.
L’uso costante di lassativi induce a far pensare alle ragazze che, senza questo stimolo, non siano in grado di andare di corpo, così entrano in panico quando non hanno questa funzione fisiologica per un giorno.
L’uso di lassativi continui, ha come conseguenza l’ABBASSAMENTO D' ELETTROLITEMICI che si cura solo con fleboclisi di soluzione di elettroliti e glucosio. In più può causare anche gravi problemi ai reni che possono perdere la loro pur parziale attività.


3. L’ANORESSIA MENTALE NEL MASCHIO

I pazienti anoressici uomini rappresentano il 4,1% della popolazione, tra i sintomi manifestati, depressione (35,6%), attacchi di panico (9,5%), alcolismo (3,4%) o nessun sintomo (35%).
Le statiche descrivono il fenomeno anoressico maschile in continuo aumento, nonostante siano ancora più le donne a esserne colpite.
I casi anoressici in Italia sono di 14/15 mila unità.
In passato dagli studi di Hilde Bruch si sapeva che l’anoressia nei maschi colpiva in età preadolescenziale.
Anche nell’anoressia maschile, l’implacabile ricerca della magrezza sembra essere il motivo di fondo, e i pazienti difendono il loro grave stato di macilenza, asserendo con ostinazione di non essere troppo magri. La sindrome, per Hilde Bruch, si riscontra, anche qui, in giovani che sembrano dare buona prova di sé, ma e cui bravure erano una obbedienza anziché di uno scopo spontaneamente scelto.
Il vero timore è quello di non essere veramente rispettati, di non essere padroni, ma solo quello di essere e rimanere un impotente loro prodotto, e poiché nessuna manipolazione sul corpo potrà mai offrire l’esperienza della fiducia in sé, dell’autostima o dell’identità autonoma, la ricerca della magrezza si fa più ostinata, la quantità di cibo si fa sempre più ridotta e l’attività al suo scopo di bruciare calorie, più febbrile.
A differenza dell’anoressia femminile, tutti i casi di anoressia mentale primitiva maschile si sono manifestati nella pubertà e lo sviluppo sessuale no avveniva prima della loro guarigione. Ecco perché nel maschio la malattia si riscontra in ragazzi preadolescenziali, manifestandosi quando manca loro l’ancora di salvezza durante tale fase.
Negli anni Sessanta si pensava che l’anoressia nel maschio fosse più rara nei maschi che nelle femmine per la pubescenza, per gli effetti psicobiologici degli ormoni sessuali maschili.
La pubescenza sommerge il ragazzo, sotto una tale ondata di nuove sensazioni di una più aggressiva autoconsapevolezza che l’avvenimento della pubertà rende quella nuova autoaffermazione, di cui non era stato capace nella prepubertà.
Una volta che un ragazzo viene assorbito dal tunnel dell’anoressia, sembra che la terapia ormonale sia inefficace e anche di disturbo. La terapia acquista valore solo dopo che si sono risolti i problemi psicologici di fondo che turba il ragazzo stesso.

Oggi, invece nuovi studi hanno corretto questo pensiero.
Dimostrazione del fatto che l’anoressia nel maschio è presente e che ha anche un’alta percentuale che sta crescendo durante gli anni, vi è una indagine condotta dall’Associazione ABA.
Da questa indagine recente, avvenuta nel Centro Ricerca ABA risalenti al periodo 1997-2001 i pazienti anoressici rappresentano il 4.1% della popolazione e la malattia insorge intorno ai 17 anni.
Il 48,7% è uno studente, il 26,3% sono impiegati, il 13% sono lavoratori saltuari o disoccupati.
I maschi tendono a negare il problema e, anche se ne prendono coscienza non ne parlano apertamente.
Mentre nelle donne la malattia sopraggiunge coincidendo con lo sviluppo sessuale, nell’uomo avviene più tardi.
I maschi usano l’anoressia come uno strumento per arrivare più disinibiti al primo incontro con l’altro sesso.
Dimagrendo e raggiungendo il proprio ideale estetico hanno la conferma del proprio valore. Tutto il contrario delle donne che usano l’anoressia per mettere alla prova l’altro (“AMAMI A PRESCINDERE DAL CORPO, DESIDERAMI PER COME PERSONA”) o per tenerlo a distanza come negazione della sessualità.
Questa è la teoria del Dott. FABIO GALIMBERTI dell’Associazione ABA, che si trova su Internet alla voce anoressia.
Inoltre, uno studio di medici tedeschi MANFRED FICHTER e C. DASER ha dimostrato che l’80% dei maschi anoressici del campione era cresciuto in famiglie il cui argomento sesso era tabù e quasi il 50% dei soggetti dichiara di non essere certo della propria identità sessuale.
L’anoressico tipo è un soggetto depresso, ipersensibile con forti sensi di colpa e scarsa autostima, l’ambiente familiare in cui cresce ha un ruolo centrale nello sviluppo della malattia.
Un padre poco presente o una madre iperprotettiva o dominante sono quasi una costante nella vita degli anoressici.





4. ANORESSIA E RAPPORTI FAMILIARI IN CHIAVE PSICOLOGICA

L’anoressia è legata al complesso di Edipo. La cura è la guarigione vera e propria che avviene con la riuscita della separazione edipica.
L’anoressia è solitaria, ma non è Psicosi.
Superficialmente il rapporto con i genitori si presenta affettuoso; in realtà è troppo stretto, privo della necessaria separazione, individualità e differenzazione. Si ha paura di far fronte ai propri bisogni e di andare incontro ai propri desideri solo per il timore di deludere i propri genitori. Si ha come l’impressione che una propria autonomia e indipendenza, possano collimare con le aspettative che hanno i genitori nei loro confronti. In più si pensa che avere una propria vita possa dare un dispiacere a quei genitori o a quel genitore che da sempre regola e controlla la vita della figlia. Quando avviene il verificarsi di un’affermazione positiva dell’io della ragazza, allorché non è più necessario seguire le volontà dei genitori, si palesano gravi deficienze della personalità.
La perdita ponderale ha i propri vantaggi, in quanto obbliga i genitori a tornare ad avere un atteggiamento protettivo verso la figlia che per la prima volta si sente di avere un potere e di dominare. La tragedia reale, è che proprio quell’attenzione che esigono le ragazze da parte dei genitori, rafforza il modello vecchio abnorme e rende impossibile lo sviluppo di una vera indipendenza.
La ragazza, deve capire che l’importanza di guarire è per lei una vittoria significativa in cui durante la battaglia, è sostenuto dall’amore e dalla volontà dei genitori deve capire che guarendo non perde l’amore e l’attenzione dei propri familiari. Deve essere circondata di dimostrazione e di certezze per far fronte positivamente alla lotta contro quel mostro che la sta divorando e che è di rilevante importanza che continui a combattere con tutte le sue forze.
Hilde Bruch, ci dice che affinché il trattamento sia efficace, bisogno modificare vari aspetti in vari campi: lo stato abnorme di denutrizione, deve essere migliorato, bisogna capire e sbloccare i modelli stagnanti del dialogo familiare; occorre che maturi il concetto di sé schiavistico e indifferenziato.
La psicoterapia serve per incoraggiare lo sviluppo della personalità di base, liberandola dalla paura di prendere distanze dal rapporto troppo stretto con i genitori.
L’anoressica vuole vivere in un mondo a parte in cui a nessuno è dato il consenso di poter entrare proprio perché vuole una sua identità, vuole che ogni cosa che la circondi faccia parte solo dei suoi mancati desideri, ecco perché non vuole desiderare, perché ha paura che i suoi desideri possano essere condizionati dal pensiero che ha in rapporto con l’altro. Rifiuta di essere l’oggetto del desiderio dell’altro, ne rifiutano le attenzioni, il suo cibo, la sua vita.
Se non ricercasse il vuoto l’anoressica non sarebbe tale.
L’anoressica non vuole più nessun condizionamento delle proprie voglie e desideri, così si libera da ogni bigotteria del suo passato e si distacca dal seno dei desideri imposti.
come dice Sciacchitano Con la sua anoressia il soggetto, lavora per tenere lontano da sé la madre ragno che tenta di irretirlo. Metalpsicologicamente, il soggetto è identificato all’altro. Fa il suo desiderio, ma lo riconosce capovolto. “ Vuoi da me questo? No, sono io che lo voglio!”.
Alla lunga, l’irretimento materno spossessa la figlia.
Una paziente di Sciacchitanio uscita fuori dall’anoressia, disse:
“ non potevo avere un desiderio mio, perché mia madre desiderava i miei desideri”, che tradotto voleva significare che lei desiderava i suoi desideri. Questo pensiero è un fatto comune a tutte le anoressiche, è il motivo cardine che le spinge alla ricerca di una propria identità. La madre ragno, o in alcuni casi, aggiungo io, anche il padre ragno è la causa del soffocamento di una propria identità.
all’anoressica interessa solo sapere come evitare la madre. È questo l’unico sapere che accetta.
Inoltre, odia la saccenteria, il sapere senza verità come l’amore senza il desiderio, proprio perché ha conosciuto questo in braccio a sua madre.
L’anoressia non vuole condividere l’oggetto con l’altro. L’oggetto dell’anoressica è il Niente.
L’anoressica rifiuta il cibo per affermare l’esistenza di tutti gli altri oggetti che la madre le ha sottratto, tentata per lo più di fare il maschio per far sì che ci sia in lei un po’ di padre, visto che la Madre Natura non gliene ha elargito molto.
Digiunando l’anoressia si adopera a scavare la mancanza che faccia posto all’oggetto.
Vomitando, la bulimica si impegna a svuotare ciò che, in realtà, non si può riempire.
Operazioni vane, queste, di cui l’anoressia e la bulimia ne sono ossessionate.
L’anoressia, si può dire che è legata al complesso di Elettra. La cura e la guarigione vera e propria può avvenire solo con la separazione riuscita edipica, con la premessa che la separazione nell’anoressia è negazione, no affermazione come avviene nel vero complesso di Edipo o di Elettra.
L’anoressica nega l’universo materno ed entra in quello paterno. L’anoressica è alla ricerca dell’oggetto ideale l’unico per il quale romperebbe il digiuno, ad esempio il padre.
L’anoressia a differenza della bulimia, confonde la mancanza (attraverso cui il desiderio dell’altro è passato) col vuoto. In pratica, l’anoressia cura e salvaguarda quella mancanza per non permettere più all’altro di entrare., tanto che si difende col vuoto di cibo. L’anoressica, si affanna a mantenere quel vuoto nel corpo, perché crede che sia l’unico modo per salvaguardarsi dall’invasione dei desideri dell’altro.. lo cura, ci sta attenta. Il suo vuoto non lo vuole come tutti gli altri altrimenti finirebbe per essere invaso e riempito. Il corpo non ha bisogno di essere scavato, il buco esiste ed è pervio. Il desiderio dell’altro vi transita, ma non lo riempie. Riconoscerlo è la cura dell’anoressia.
La cura della bulimia (variante dell’anoressia), consiste una rettificazione topologica. La bulimica tenta di rassicurare se stessa e gli altri che il buco esiste, riempiendolo e svuotandolo in continuazione. Ma il buco, in realtà non può essere riempito. In sostanza, confonde il buco con la cavità.
L’analisi è la guarigione dell’anoressia, mentre l’anoressia è la patologia dell’analisi.
Ricordiamo però che l’anoressia è il contraltare della bulimia. Entrambe dissacrano il bene di Dio, una in presenza, l’altra in assenza.

5. Motivi utili sul perché affrontare la terapia familiare
Bisogna far di tutto per capire che cosa c’è all’interno della famiglia che non và e che fa star male così tanto la propria figlia.
Bisogna che i genitori capiscano che l’essere presenti alla terapia e avere un atteggiamento favorevole verso di essa è l’unico modo utile per aiutare la propria figlia a uscire fuori a quella prigione che si è creata e per risanare le ferite che si sono create all’interno del nucleo famigliare di cui fino a quel momento non se ne erano accorti. È una terapia utile per tutti i membri per salvare anche l’unità famigliare, essenziale per avere un certo equilibrio al suo interno.
L’anoressia funge da “ambasciatrice di pena”. Si fa carico del compito di dimostrare e far scoprire che le basi su cui si è fondata la famiglia fino a quel momento non sono del tutto giuste, ma che vi sono delle crepe che vanno a scalfire l’equilibrio familiare. È solo con una terapia familiare appropriata che i genitori si rendono conto cosa dover smussare all’interno del nucleo familiare per dare così anche ai figli un buon equilibrio e un buon dialogo per guarire e stare tranquilli.
Tutto ciò serve solo per far capire che se si vuole davvero aiutare la propria figlia ad uscire fuori da tale situazione non si deve fare altro che essere partecipi soprattutto alle terapie. La terapia è molto più utile ai genitori, in quanto, riuscendo a capire dove puntare per migliorare i rapporti famigliari, daranno un grande sostegno e aiuto alla ragazza per farle capire che ogni cosa è stata messa al posto giusto per vivere meglio, e che ora sono pronti a darle ciò di cui ha sempre avuto bisogno ma che le è sempre stato negato o ostacolato.
l’anoressica, come già molte volte detto, riversa le proprie turbe sul proprio corpo, perché più è magra e più le sembra che i problemi si affievoliscano. Associa la sua sensazione di soffocamento interiore per i suoi problemi interiori al peso del suo corpo. Se ingrassa anche di pochi grammi si sente depressa e infelice, debole; al contrario se dimagrisce si sente più leggera e più in forma.
Le persone devono capire, in particolare i genitori che quanto più sopprimono i desideri dei figli, la loro autonomia e le loro aspettative con un’educazione tutta barriere e niente libertà di scelta personale, tanto più l’inconscio si potenzia tramite tutte le cose rimosse. In tal caso, arriverà il momento in cui questo angolo pieno di rimozioni e negazioni, griderà vendetta e si ripresenterà in forma contraffatta o distorta.
Grazie all’analisi, le rimozioni vengono eliminate e i desideri rimossi tornano ad essere coscienti.
Per questo motivo è essenziale andare a smussare le basi e le fondamenta che cozzano con una giusta educazione e questo lavoro tramite l’analisi lo possono effettuare solo i genitori.
Il motivo del non rendersi conto della propria condizione nell’anoressia, ce la da ancora Jung, affermando che:
l’inconscio usurpa la funzione del reale e vi sostituisce una propria realtà. I pensieri inconsci, in questo modo , diventano udibili sottoforma di voci oppure sono percepiti come illusioni o allucinazioni corporee.
Come si sa, l’anoressia inizia proprio con una specie di allucinazione corporea: la ragazza si vede trasformata, grassa, e mai perfetta anche quando le ossa iniziano a fare capolino da sotto la pelle. I problemi che la ragazza accusa dentro di sé, li rigetta sulla propria visione del corpo, che altro non è il manifestarsi dei propri pensieri inconsci che non trovando altro modo per manifestarsi, si riflettono sul corpo della persona
L’analisi, serve proprio per riportare in superficie l’inconscio, riuscendo in tal modo a modificare e guarire le turbe che invadono l’equilibrio della propria personalità.
L’anoressica deve per prima cosa capire che per guarire vi è bisogno soprattutto della sua volontà e della sua serietà nel procedere con l’analisi.


TERAPIA ED EFFICACIA


Per la terapia non basta provocare un aumento ponderale, in quanto i cardini della malattia non sono il peso e l’aspetto, bensì i dubbi interiori e le turbe psicologiche seguite da una mancanza di fiducia in se stessi.
In primis se si vuole aiutare queste ragazze c’è bisogno che l’organismo sia a una condizione migliore prima di iniziare la terapia, assicurandole che le si darà una dieta in quantità tali da proteggerle da un aumento ponderale troppo rapido ed eccessivo.
È invalsa, secondo la Bruch la teoria secondo la quale queste ragazze debbano essere trattate lontane dalle famiglie e ospedalizzate fino a quando non saranno migliorate. Agendo in questo modo la ragazza uscendo dall’ospedale, tornerà ad avere sempre ricadute o a peggiorare emotivamente.
Hilde Bruch ci informa che, nonostante il peso al di sopra del livello di guardia, varia a seconda dell’altezza e della costituzione delle ragazze, si può benissimo indirizzare verso un peso sui 41-43 Kg.
Pur essendo un peso al di sotto della norma, questo peso può essere considerato compatibile per iniziare ad esplorare i problemi psicologici importanti e significativi.
Appurato che per affrontare una terapia psicologica mirata per sostenere un buon ragionamento psicologico della paziente, c’è bisogno di raggiungere un peso indicativo, c’è da considerare che le ragazze cadano in profonda crisi quando devono ingoiare cibi solidi per aumentare di peso e tutte le ragazze sanno di dover “reimparare” che cosa e quando mangiare.
È abbastanza facile far avvenire un aumento poderale, ma ciò non indica la guarigione e può perfino risultare dannoso.
Ugualmente nocivo è non considerare il peso corporeo, come avviene nella psicoterapia in cui si permette alla ragazza di continuare a stare nella sua inedia con il solo risultato di anoressia cronica.
La terapia deve sempre mirare all’interno della famiglia per scovare i problemi di fondo in quanto tutto nasce e cresce in famiglia.
La terapia deve far comprendere alle ragazze che hanno il diritto e il dovere di vivere la loro vita, senza doversi sentire in colpa per le loro scelte che contrastano quelle dei loro genitori, in quanto loro hanno una loro strada in cui camminare con le loro personali scelte e decisioni. La terapia deve aiutare tali ragazze a trovare una loro autonomia e personalità evocando la consapevolezza di impulsi, sentimenti ed esigenze originate entro il loro sapere. La terapia deve focalizzarsi sull’insuccesso della ragazza nell’espressione del suo Io, sugli strumenti e sui concetti inadatti per organizzare ed esprimere i suoi bisogni, e sul suo senso di smarrimento nell’affrontare gli altri.
La terapia deve far comprendere alle ragazze che hanno il diritto e il dovere di vivere la loro vita, senza doversi sentire in colpa per le loro scelte che contrastano quelle dei loro genitori, in quanto loro hanno una loro strada in cui camminare con le loro personali scelte e decisioni. La terapia deve aiutare tali ragazze a trovare una loro autonomia e personalità evocando la consapevolezza di impulsi, sentimenti ed esigenze originate entro il loro sapere. La terapia deve focalizzarsi sull’insuccesso della ragazza nell’espressione del suo Io, sugli strumenti e sui concetti inadatti per organizzare ed esprimere i suoi bisogni, e sul suo senso di smarrimento nell’affrontare gli altri.
La terapia deve essere in grado di focalizzare i dubbi che la ragazza ha su se stessa, sulla sua indecisione che la fa sentire frustrata e sulla sua auto denigrazione, in tal modo il progresso si farà sentire in molti aspetti della vita:
crescente fiducia nei propri sentimenti e pensieri, una maggiore accettazione del proprio Io, un atteggiamento fiero e armonioso verso il proprio corpo e la propria maturazione nell’essere adulta.
Durante la fase acuta della malattia le anoressiche sono completamente isolate e ripiegate su se stesse, ma quando migliorano cominciano ad interessarsi anche agli altri e desiderano legami caldi e affettuosi.


IL RECUPERO DELLA MALATTIA E’ GRDUALE E LENTO. INIZIALMENTE LE DONNE RIPRENDONO IL PESO PONDERALE GIUSTO E RIPRENDONO IL CICLO MESTRUALE, MA OCCORRONNO DAI 5 AI 10 ANNI AFFINCHE’ RIADATTINO I LORO ATTEGGIAMENTI CIRCA LA PROPRIA FIGURA E IL PESO DEL CORPO.





6. CONSEGUENZE DELLA ANORESSIA AI VARI APPARATI DEL CORPO UMANO

Le complicanze mediche dei disturbi del comportamento alimentare si estendono a diversi organi e apparati, con gravità variabili a seconda dello stato di malattia, della durata dei sintomi o della loro gravità, e non sempre sono reversibili attraverso la riabilitazione nutrizionale.
Alcuni apparati ed organi in molti soggetti restano compromessi dalla denutrizione o dalle pratiche compensatorie utilizzate per prendere peso, tra questi l’osso, lo smalto dei denti, il fegato e i reni.
Gli apparati che possono essere interessati dalle complicanze, sono:
 L’APPARATO CARDIOCIRCOLATORIO (danni al muscolo cardiaco molto gravi e con esiti anche mortali);
 L’APPARATO GASTROINTESTINALE ( lesioni ulcerative a esofago e stomaco, rottura di stomaco, riduzione della motilità intestinale, difficoltà digestive, statosi epatica, epatite acuta, pancreite)
 APPARATO MUSCOLOSCHELETRICO (riduzione della massa muscolare e ossea, con osteoporosi da moderata a grave)
 APPARATO GENITOURINARIO ( amenorrea, sterilità, insufficienza renale acuta o cronica)
 SISTEMA NERVOSO CENTRALE (riduzione della performance cognitiva, perdita di memoria e concentrazione)
 SISTEMA NERVOSO PERIFERICO (parestesie, cioè formicolii e perdita della sensibilità degli arti)

In queste ragazze di DCA, le cause di morte sono dovute:
- COMPLICANZE DEL VOMITO E DELL’ABUSO DI DIURETICI/LASSATIVI
- COMPLICANZE DELLA DENUTRIZIONE
- SUICIDIO.

Gli effetti del vomito e dell’uso dei lassativi, è lo squilibrio idro – salino, di conseguenza:
a) IPOPOTASSEMIA, IPONATREMIA, IPOCLOREMIA che provocano complicanze metaboliche, nello specifico alcolosi e chetonuria, renali e cardiovascolari, sia in forma acuta che cronica.
I sintomi di uno squilibrio idroelettronico sono:
SETE, VERTIGINI E RITENZIONE IDRICA, che causa gonfiori a gambe e braccia, debolezza, apatia, tic e spasmi nervosi.
Vomitare dopo aver assunto ingenti quantità d’acqua, crea un profondo e immediato cambiamento nell’equilibrio idro-salino, che ha come sintomo:
SPOSSATEZZA, TREMORI E TACHICARDIA e può esitare in ARITMIE CARDIACHE anche gravi.
I danni renali più frequenti sono:
NYROPATIA IPOPOTASSEMICA e la CALCALOSI
RENALE.

b) INFIAMMAZIONE DELLE GHIANDOLE SALIVARIE

Le ghiandole salivari risentono del vomito autoindotto e vanno rapidamente incontro a tumefazioni molto evidenti per l’aumento della produzione di saliva e per lo squilibrio idrosalino che si crea vomitando.
Le ghiandole salivari infiammate, si gonfiano, ma possono anche produrre calcoli di dimensioni variabili che possono ostruire i dotti salivari e provocare un intenso dolore. La ghiandola parotide in particolare gonfiandosi tende a modificare la fisionomia del volto, dando al viso un aspetto tondeggiante: il fenomeno è reversibile generalmente in qualche settimana con l’astensione delle pratiche compensatorie.

Queste complicanze sono i danni che provoca l’anoressia, spiegata sul sito di anoressia dalla Dott.ssa CLAUDIA RAVALDI 1999/2008




Inoltre aggiungiamo qualche piccolo dato per capire cosa cambia davvero dentro il corpo. Qui sotto vengono riportati la percentuale di perdita di peso dei principali organi interni a causa della denutrizione forzata:



ORGANI
%


FEGATO

-8%



RENE

10-15%


MILZA
-15%


CUORE
15-20%





7. FATTORI FAMILIARI RELATIVI ALL’ANORESSIA E ALLA BULIMIA.


Nel caso dell’anoressia di particolare interesse è il rapporto tra madre e figlia. Il legame che le unisce è intenso e caratterizzato da una forte identificazione della madre con la figlia, a causa forse di una relazione col marito non soddisfacente, per il quale però hanno rifiutato in passato qualsiasi ambizione e carriera. Quindi in quel rapporto di coesione la madre vive tramite i sogni e i desideri della figlia facendosi suoi qualsiasi desiderio della figlia, legandosi a quest’ultima n modo molto morboso.
È per questo motivo che la figlia sente un forte senso di responsabilità nei confronti della madre, un vero ribaltamento dei ruoli.
In queste famiglie le comunicazioni passano ottusamente attraverso il cibo in modo tale che l’attenzioni vengano catturate dal corpo della figlia le cui difficoltà emotive non sembrano esistere. La paura che quel corpo possa rivelare delle mancanze o il proprio fallimento, sembra molto più importante del dolore che si cela dentro quel corpo.
Alla richiesta di essere una figlia ideale, l’anoressica risponde con la costruzione di un corpo ideale per sé e non per gli altri, giacché già sente che la sua vita sia più degli altri che sua.
Sentirsi invasi dalla propria madre, impedisce di costruire se stesse. Ogni figlia deve staccarsi dalla madre per costruire una sua identità.
Queste figlie rappresentano il luogo dove i genitori sembrano esprimere i propri desideri, uno strumento per colmare un vuoto che in realtà non potrà mai colmarsi.
Anche nella Bulimia sono state riscontrate difficoltà rispetto alla separazione sia nei genitori che nelle ragazze.
La lotta per separarsi può essere inscenata attraverso il corpo:
l’ingestione del cibo rappresenterebbe i desiderio di fusionalità simbiotica con la madre, mentre tramite l’espulsione tenta di separarsene.
Queste bambine sono spesso usate come oggetto sé per consolidare il sé dei loro genitori. In queste famiglie ciascun membro dipende dall’altro al fine di mantenere un senso di coesione creando così una modalità particolare per gestire le qualità “cattive” inacettabili.
Queste vengono spesso proiettate nelle bambine bulimiche che divengono così depositarie di tutta la cattiveria. Identificandosi inconsciamente con queste proiezioni, divengono le portatrici di tutta l’avidità e l’impulsività della famiglia. Alla fine si tenderà in famiglia di dare maggiore attenzione sulla bambina malata piuttosto che sui conflitti nei o tra i genitori.
I disturbi alimentari sono collegati con i disturbi nella relazione con la madre. Il padre se è presente è taciturno perché ha paura che parlando possa attaccare una figlia che è già sofferente. Il corpo diventa il fulcro che richiama l’attenzione su di sé . in questa situazione è difficile per il padre capire ascoltare la richiesta di aiuto di essere liberata dalla madre.
Solo rientrando nel ruolo di compagno della madre, egli potrà favorire il raggiungimento di quella separazione e di quella identità personale così fondamentali per la crescita interiore della propria figlia.


In entrambe le malattie però non è detto che il rapporto distruttivo possa essere quello tra figlia e padre.